Dio c’è, crescono le religioni
“Dio non è morto” – ha scritto il Wall Street Journal presentando in anteprima l’ultimo libro di Rodney Stark: “Ci crediate o no, il mondo è più religioso che mai!” (Lindau Editore).
Si è spesso sostenuto che le religioni stanno perdendo fedeli e che la crisi morale, oltre che economica, comporterebbe una riduzione della fede. E invece il mondo moderno sembra più che mai alla ricerca di spiritualità.
Rodney Stark, sociologo delle religioni, docente di Scienze Sociali alla Baylor University in Texas, ha analizzato i risultati di un sondaggio senza precedenti – più di un milione di persone in 163 nazioni – per tratteggiare un quadro realistico con numeri precisi.
È interessante osservare che si tratta di risultati del tutto opposti a quelli comunemente percepiti. Nel mondo si sta verificando una corsa al sacro ed una crescita esponenziale di fedeli, soprattutto tra i Millennials!
I rilevamenti effettuati su oltre un milione di persone, in 163 Paesi, mostrano che:
- l’81% dichiara di professare una fede religiosa organizzata e molti dei restanti affermano di assistere a funzioni religiose o di partecipare ad altre attività religiose;
- il 74% dice che la religione è una parte importante della propria esistenza quotidiana;
- il 50% riferisce di essersi recato in un luogo di culto o di aver assistito a una celebrazione religiosa negli ultimi sette giorni;
- il 56% crede che «Dio è direttamente coinvolto in ciò che accade nel mondo»;
- il 5% si professa ateo in pochissimi Paesi, e solo in Vietnam, Cina e Corea del Sud gli atei superano il 20%.
Rispetto ad alcuni anni fa, le statistiche relative alla religiosità sono molto più affidabili, in quanto basate su un sondaggio a livello mondiale effettuato dalla Gallup Organization.
Nel 2005 la Gallup ha iniziato a condurre rilevamenti annuali a livello nazionale in 119 Paesi; attualmente i Paesi coinvolti sono 163, per un totale del 97% circa della popolazione mondiale.
In ogni Paese viene selezionato un campione di mille, o più, persone da intervistare e vengono assegnati diversi «pesi». I dati riflettono la popolazione in termini di sesso, età, istruzione, condizione economica e numero di componenti del nucleo familiare. Le statistiche riportate nel libro di Stark sono basate sull’unione dei campioni di diversi anni, aumentando così la precisione dei risultati.
Ad oggi, sono circa un milione le persone intervistate. Tuttavia, per alcune religioni (tra cui lo shintoismo, il zoroastrismo, il taoismo e il confucianesimo) risulta ancora difficile stilare statistiche affidabili a causa della esiguità dei dati disponibili. Per cui si è reso necessario inserire queste religioni (ed altre minori) in una categoria residuale, denominata «altri».
Una difficoltà deriva dal fatto che il governo cinese non consente alla Gallup, né a qualsiasi altra agenzia straniera specializzata in sondaggi, di porre domande relative all’appartenenza religiosa. Di conseguenza, per la Cina le statistiche sono basate su un campione nazionale di 7.021 persone intervistate nel 2007 dalla Horizon Ltd., la più grande agenzia cinese di sondaggi. I dati sono poi stati acquistati dall’Istituto di studi religiosi della Baylor University (di cui Stark è co-direttore) grazie a un finanziamento della John Templeton Foundation.
Pur considerando questi difetti del sondaggio, si può ragionevolmente affermare che a livello mondiale 2,2 miliardi di individui (33%) dichiarano di essere cristiani, mentre i musulmani ammontano a 1,5 miliardi (22%). Gli indù sono il terzo gruppo religioso con un miliardo di fedeli (16%), seguiti dai buddhisti con 500 milioni (8%). Gli ebrei sono 13 milioni (meno dello 0,2%), mentre le altre fedi contano 127 milioni di aderenti (2%). I secolarizzati ammontano a 1,3 miliardi (19%).
Ovviamente, alcuni di coloro che si dichiarano religiosi sono non praticanti. Per esempio, ci sono europei ‘cristiani’ che non hanno mai messo piede in una chiesa e molti altri che ci sono stati soltanto una volta: quando, da bambini, sono stati battezzati; altri si dichiarano musulmani, ma non sono mai entrati in una moschea. Ma risulta evidente che il fatto di non essere praticanti non equivale necessariamente ad un atteggiamento di non-religiosità.
Redazione