Riscoprire la fonte della speranza in Europa
Dal 18 al 20 ottobre si terrà presso la Cardinal Wyszynski University a Varsavia il Secondo Congresso Internazionale della European Society for Moral Philosophy (ESMP). Moltissimi i relatori, una trentina, provenienti da diversi atenei di differenti parti nel mondo, filosofi, storici e politici. Il tema scelto per quest’anno è la speranza. Verrà affrontato in particolare in riferimento all’Europa, al pensiero europeo e alla politica. Chiuderà il congresso un concerto sulle note di Chopin.
Professor Piotr Mazurkiewicz, tra pochi giorni si aprirà il Secondo Congresso della ESMP. Focus di questa società è un forum di discussione attorno a temi e problematiche etiche. Quale crede sia l’urgenza più forte in Europa oggi?
Nell’Esortazione “Ecclesia in Europa”, Giovanni Paolo II scrive sulla tentazione di “spegnere la speranza" in Europa. Una delle manifestazioni importanti di questo fenomeno è l’attuale crisi demografica. Nel suo contesto, abbiamo spesso la convinzione inconscia che, nel mondo in cui viviamo, non valga la pena di prolungare la sua esistenza per la prossima generazione.
La “speranza”... dunque un tema vincente.
Abbiamo una situazione abbastanza paradossale: le persone credono nell’inevitabilità del progresso quasi in modo religioso, e allo stesso tempo hanno sempre meno speranza. Ci si aspetta, quindi, che il mondo sarà migliore e ci s’impegna a migliorare il mondo, ma questo non rende le loro vite più significative e più felici. Penso che questo sia collegato alla perdita di consapevolezza della differenza tra speranza e aspettativa.
L’uomo si aspetta che il mondo gli porti vari tipi di beni materiali o culturali che renderanno la vita più facile. La speranza non si aspetta nulla. È un affidamento a Dio che veglia su tutta la vita umana. In definitiva, la speranza riguarda la vita eterna. È un tipo di ancoraggio nell’altro mondo. La speranza che non offre la vita eterna non è vera speranza.
Lei interverrà con una relazione sul tema: “Può la politica portare una speranza?”. Ci può dare una breve anticipazione della sua tesi?
La politica riguarda la vita temporale. In questo senso, non può dare alcuna speranza all’uomo. Può contribuire all’avvento di un “mondo migliore”, ma questo “miglioramento” riguarda soltanto alcuni aspetti. Come sottolinea Paul Ricoeur, diverse linee evolutive si sovrappongono alla civiltà. Su alcuni aspetti, il mondo può diventare “migliore” e, allo stesso tempo, essere in una profonda crisi.
Il mondo di oggi si sviluppa indubbiamente in termini tecnici, e allo stesso tempo viene consumato da varie crisi, come la crisi della famiglia. Giovanni Paolo II ha indicato, ad esempio, che gli immigrati in Europa sono attratti dalla ricchezza materiale, ma la cultura europea, per loro, non sempre è attraente.
Lei è autore del volume “Europeizacja Europy. Tozzsamosc kulturowa Europy w kontekscie procesow integracji” (L’europeizzazione dell’Europa. L’identità culturale dell’Europa nel contesto dei processi di integrazione, 2001). Crede sia possibile un’integrazione stando alla forte ondata migratoria e ad un mix di culture e credi sempre crescente?
Prima di tutto, la fonte della crisi demografica è la mancanza di bambini e non la mancanza di immigrati. In secondo luogo, dipende da che tipo di immigrati si tratta. Alcuni si integrano abbastanza facilmente, per altri l’integrazione è molto più difficile. Quando si vuole risolvere il problema del deficit demografico, non si può trattare le persone come numeri che vengono dai diversi continenti e che devono concordarsi nel calcolo.
Di recente lei ha avuto modo di richiamare l’importanza del discorso di Giovanni Paolo II al Parlamento Europeo. La Chiesa promuove una cultura per la vita, mentre la tendenza della politica europea sembra andare dalla parte opposta. Dove rintraccia le origini di questa mentalità?
La “cultura della vita” promossa dalla Chiesa cattolica e la “cultura della morte” si scontrano anche nelle istituzioni della Ue. All’origine è la controversia antropologica. Abbiamo, da un lato, una visione cristiana dell’uomo dotato di una dignità inviolabile in quanto creato ad immagine e somiglianza di Dio, dall’altro la visione materialista in cui l’uomo è il risultato accidentale delle forze cieche dell’evoluzione. Nella prima visione, un ordine morale, che una persona può leggere con l’aiuto della ragione, è iscritto nella natura dell’uomo. Nella seconda visione l’uomo può decidere liberamente su se stesso, anche sostituendo se stesso attraverso modificazioni genetiche con un essere post-umano.
Sono sempre più rari i progetti in ambito filosofico che propongono una riflessione ancorata alla storia. Questa trascuratezza può comportare, alla lunga, una disumanizzazione del pensiero, e cioè un pensiero alieno all’umano. Come crede si possa recuperare la genuinità di una riflessione che sia anche di aiuto nel panorama sociale?
Possiamo guardare alla disumanizzazione del pensare in modi diversi. Qualcuno potrebbe associarla a teorizzazioni eccessive, che galleggiano a due metri dal suolo. Io, prima di tutto, l’associo a un modo di pensare che non rispetta la dignità dell’uomo e la sua razionalità.
Si dice che viviamo in un’era di post-verità (“post-truth”) in cui conta solo il pensiero pragmatico. Ma il pragmatismo non basta per creare un mondo pienamente umano. Dobbiamo ricordarci che le idee hanno le loro conseguenze. Secondo me, l’aborto e l’eutanasia sono le conseguenze di una mancanza di pensiero, e più precisamente di ciò che Giovanni Paolo II ha definito un “errore antropologico”.
Un anno fa, esattamente in ottobre, Papa Francesco al convegno “Ripensare l’Europa: contributo cristiano al futuro della Ue”, richiamava una possibilità positiva per l’Europa intera: “ripartire dalle persone sulle orme di San Benedetto”. Quale è il suo augurio per l’imminente Congresso della ESMP?
Era un discorso molto lungo, ricco di vari fili. Papa Francesco ha sottolineato, tra le tante cose, che i cristiani devono ricordare all’Europa che non si tratta di una raccolta di numeri, ma di persone. Molti dibattiti si riducono alle discussioni sui numeri. Non ci sono cittadini, ci sono voci. Non ci sono immigrati, ci sono importi. Non ci sono lavoratori, ci sono indicatori economici. Non ci sono poveri, ma soglie di povertà.
Il Papa ha anche parlato del deficit di memoria sofferto dal Vecchio Continente, di una libertà erroneamente intesa che condanna l’uomo alla solitudine, dell’apertura dell’Europa agli immigrati, ma allo stesso tempo della migrazione che non può essere un processo di massa senza regole.
San Benedetto viveva in un certo senso in tempi simili ai nostri, di grande confusione. I monasteri benedettini erano come isole su cui si teneva la civiltà per il “dopo diluvio”. Il proverbiale lavoro benedettino fu equilibrato con ore di preghiera.
Grandi oratori, provenienti da tutta Europa, saranno riuniti al nostro Congresso. Ci aspettiamo quindi che il pensare insieme ci aiuti a riscoprire la fonte della speranza non solo per noi stessi, ma anche per coloro che si trovano di fronte alla tentazione di spegnere la speranza in Europa.
Intervista a cura di Elisa Grimi